martedì 30 ottobre 2007

Conflict Resolution

Oggi sono stato ad un corso di formazione dell'azienda. Conflict resolution, il tema. La provvidenza! penserà qualcuno.

Si parte con un test psicologico su come affrontiamo i conflitti. Ne esce che sono una civetta (che è disposta a confrontarsi a visi aperto), con una notevole propensione a fare la volpe (che cerca sempre il compromesso) e molti tratti da orsetto (che sui conflitti sparge il miele). Non sono, invece, una tartaruga (che rifugge il conflitto), nè tanto meno uno squalo (che nel conflitto, invece, ci sguazza ed è disposto a sbranare per vincere). E chissà se questo test mi ha descritto bene...


Poi si passa il resto della giornata a dire che l'importante in un conflitto è essere assertivi (cioè farsi valere, ma non troppo e sempre con molta educazione) e sapere prendere e dare critiche.
Insomma, un corso inutile. Inutile perchè partiva dal presupposto che i conflitti nascono da problemi concreti e si svolgono tra persone adulte, mature e moderatamente razionali. Beh, ci sono anche questi conflitti, ma per risolverli non serve certo una giornata di lezione. Inutile perchè i conflitti veri nascono da antipatie caratteriali, vendette servite a sangue freddo freddissimo, passioni che prendono la mano e sete di sangue.

Tornando a casa esponevo le mie idee ad un mio collega gallese, che mi risponde così: Luca, tu non volevi un corso sulla risoluzione dei conflitti, tu volevi un corso sulla moralizzazione dei tuoi colleghi. Beh, lo ammetto, touchè.

sabato 27 ottobre 2007

Get a Life!

18 ottobre, giovedì. Spariscono 60 sterline dalla cassa della struttura residenziale per disabili dove lavoro. Non è la prima volta. Due mesi fa ne sparirono 20. Sicuro è che è stato una mia collega, non si sa bene quale, tre le sospettate (e il quarto sono io).

Prima mi viene la rabbia, perchè penso che bisogna essere proprio perversi per rubacchiare a cinque disabili, creando bordello nel team di educatori. E' una cosa che proprio non riesco a comprendere. Mi viene più facile capire un crimine clamoroso, un assassinio, uno stupro, una rapina in banca, per passioni e disperazione violente, che un petty crime, un furtarello inutile e malvagio.

Poi mi viene la compassione, perchè penso che bisogna aver una vita proprio misera per passarla a pianificare un simile crimine. La ladra, infatti, ha pianificato tutto con cura. Ha aspetto che si susseguissero in turno le stesse persone di due mesi fa e che qualcuno (io), stanco e fiducioso nei confronti dei colleghi, ma soprattutto fesso, non firmasse la scheda di controllo dei soldi. Bisogna averne di tempo e di voglia e di costanza per aspettare che una simile costellazione si verifichi. Bisogna averne di passione.

E allora mi viene voglia di guardare negli occhi la manolesta e dirle in faccia: C'è un mondo meraviglioso là fuori, Go and Get a Life!

giovedì 25 ottobre 2007

Dietro il futuro di Kilombo

Il post sul futuro di Kilombo, metapostato ieri da tanti kilombisti, ha generato qualche apprensione e le dimissioni di addirittura due redattori. Cerco qui di fare un po' di chiarezza sull'iniziativa e svelare quello che ci sta dietro.

1. Ha generato molte perplessità l'uso dell'espressione "progetto politico". Per chiunque abbia avuto la pazienza di leggersi tutto il documento non dovrebbe essere stato difficile capire che il progetto politico in questione è mantenere un vivo e fruttuoso dialogo tra bloggers che si sentono di sinistra. Nulla di nuovo, in realtà. Una ennesima riformulazione della Carta di Kilombo.

2. Il documento nasce dopo un intenso carteggio tra un gruppo informale di kilombisti a seguito delle votazioni di espulsione per Karletto Marx e Valerio Pieroni. Si constatava che Kilombo stava perdendo il carattere iniziale, "spesso" di aggregatore di sinistra, per trasformarsi in un aggregatore "leggero", dove la libertà dei contenuti fa premio sulla coerenza ideologica. Questa nuova impostazione "leggera" è stata decisa dal collettivo attraverso le due votazioni e sotto molti aspetti funziona. Non so voi, ma per il mio blog tra il 30 e il 40% del traffico proviene da Kilombo. Non è nelle intenzioni di nessuno degli autori de "Il futuro di Kilombo" cambiare nulla del kilombo.org attuale.

3. Sebbene l'aggregatore "leggero" e "veloce" va bene così, a noi non basta. Non ci accontentiamo, siamo ingordi e vogliamo qualcosa di aggiuntivo, qualcosa in più. Le ragioni di questa nostro ingordigia sono, da un lato creare uno spazio di dialogo riflessivo, lento, meditato, di qualità, dall'altra prevenire che il giorno in cui salta il governo salti pure Kilombo. Ci siamo allora chiesti quali fossero gli strumenti per ottenere i nostri obiettivi e abbiamo scoperto che c'erano già, frutto di lunghe consultazioni e democratiche liberazioni: kilomboslow e l'associazione.

4. Sull'associazione possiamo fare poco al momento, mentre kilomboslow lo possiamo fare subito. Ci siamo letti attentamente le regole decise dal collettivo, abbiamo visto se c'erano tra di noi dei volontari e abbiamo verificato se c'era bisogno del consenso della redazione. Il comitato editoriale è formato da chiunque ne voglia far parte, fino ad un massimo di 6, per un periodo massimo di 6 mesi e indipendente dalla redazione. Abbiamo aspettato abbastanza e siamo partiti.

5. Il fatto che alcuni bloggers, nella fattispecie, Valerio Pieroni e Korvo Rosso, non condividano il nostro documento non può che farmi piacere. Non perchè li abbia in particolare antipatia (tutt'altro!), ma perchè hanno coerentemente e costantemente sostenuto un'idea di Kilombo altra rispetto a quella che abbiamo prospettato noi e cioè che in Kilombo è importante parlare, magari pure urlare, ma sforzarsi di ascoltare, riconoscersi e legittimarsi vicendevolmente cioè, è un optional. Per loro, come detto, non cambia nulla. Noi oltre alla playstation 1 vogliamo anche la playstation 2. Perchè non farci giocare?

martedì 23 ottobre 2007

Il Futuro di Kilombo

Kilombo nasce in concomitanza con importanti appuntamenti elettorali come le primarie per l'Unione e le politiche, per far dialogare e scontrare quelli che vengono chiamati riformisti e radicali, cercando di creare un terreno comune di appartenenza.

Kilombo era e deve rimanere un progetto politico (o, anche se non formalmente, una associazione politico-culturale) cioè che raduna tutti coloro che si riconoscono in alcuni valori (quelli della Carta) a prescindere dalla adesione ad un partito del centro-sinistra o alla stessa coalizione dell'Unione. Crediamo che questo sia un punto fondamentale da fissare, anche alla luce delle probabili future evoluzioni politiche. Il tutto per evitare di ricadere nel vecchio detto di Pietro Nenni secondo cui "a fare a gara fra puristi [di sinistra, ndr], si troverà sempre qualcuno più puro, che alla fine ti epura".
In questi giorni il progetto politico dell'Unione sembra, invece, alla corda. Il governo ha il fiato corto. A destra e a sinistra della coalizione governativa cresce la voglia di andare da soli. Alcuni non possono sentir parlare di Partito Democratico, altri non ne possono più della sinistra di lotta e di governo. Kilombo rischia di subire questa situazione e di implodere. Sarebbe un peccato, perchè è proprio nel momento in cui la sinistra "reale" si divide che bisogna fare valere le ragioni del dialogo riscoprendo il patrimonio storico e valoriale che ci accumuna.
Questo compito è responsabilità anche nostra, la sinistra "virtuale". E', paradossalmente, nel momento di massima distanza politico-parlamentare che l'esperimento kilombista acquista significato e importanza non secondari. Per prevenire l'implosione di Kilombo è cruciale riscoprire le ragioni del nostro aggregatore e farle diventare progetto politico (sebbene rigorosamente non partitico). Se vogliamo impedire che Kilombo si trasformi (o rimanga) una vetrina in cui prevalgono le ragioni della polemica fine a se stessa tra nemici su quelle del confronto fruttuoso tra compagni, dobbiamo dotarci di tutti gli strumenti, reali e virtuali, necessari. Alcuni sono stati individuati molto tempo fa, ma sono rimasti in cantina. Kilombo slow e l'associazione aspettano solo di venire usati. Nessuno, però, osa metterci mano, cuore e testa.
Perchè? Il loro scopo non deve essere quello di ricreare dal vivo o alla moviola l'atmosfera litigiosa e individualistica di kilombo.org. Le ragioni dell'associazione e di kilomboslow sono ben altre e altrettanto importanti. Sono le ragioni dello stare insieme a sinistra, nonostante parlamento e governo. Non dobbiamo, infatti, governare un paese, ma salvaguardare legami, contatti, spazi comuni. Non vale la pena impegnarsi in prima persona per queste ragioni? Allora perchè non ci diamo una mossa, magari prima che cada il governo e kilombo chiuda perchè Jaco si è dimenticato di pagare il aruba?

Chiunque condivida le ragioni da noi espresse è caldamente invitato a pubblicarlo sul proprio blog e a postarlo su Kilombo.

lunedì 22 ottobre 2007

La Sentinelli e il terzomondismo neoliberista

Patrizia Sentinelli, eletta in parlamento con i voti di Rifondazione Comunista, è il viceministro agli esteri con delega alla cooperazione internazionale. In un articolo pubblicato da project 2.1 spiega le linee guida per la politiche di cooperazione e sviluppo internazionale del governo italiano.

Questi mi paiono i punti fondamentali:
1. Il rigetto delle politiche economiche neoliberiste,
2. la promozione della microimprenditoria agricola,
3. la promozione del microcredito,
4. la promozione di obiettivi sociali diversi dalla crescita del prodotto, quali: educazione, sanità. promozione dell'ambiente e democrazia partecipata.

Alcune considerazioni sono d'obbligo.
1. Non so bene cosa l'onorevole Sentinelli intenda con il termine "economia neoliberista", però mi pare che questa abbia in comune con le politiche proposte dal governo italiano il considerare lo stato come un ente inutile, persino dannoso. Se la triade di Washington preme perchè gli stati africani privatizzino e lascino mano libera al "mercato", la cooperazione internazionale interviene volenterosa ad fornire quei servizi che dovrebbero essere pubblici. Ecco allora che vengono finanziate scuole e ospedali di donatori privati dal cuore d'oro. In questo modo si spezza il legame responsabilità e legittimazione che lega il cittadino con l'autorità pubblica. Si delegittima lo stato.

2. Tra le funzioni scippate agli stati in via di sviluppo non ci sono solo scuole e ospedali, ma soprattutto le politiche industriali. Il ministro Sentinelli detta le linee di sviluppo e priorità per i paesi del terzo mondo: ecosistemi, partecipazione, ogm-free, agricoltura. Chissà se si è consultata prima con i legittimi rappresentanti dei paesi che riceveranno i nostri aiuti o se ha deciso di testa sua.

3. Le nostre politiche di cooperazione sembrano frutto di una ossessione per le cose piccole: piccoli agricoltori, piccoli imprenditori, piccole banche. Io non augurerei a nessuno di diventare un paese di piccole e medie imprese. Basta già l'Italia. E' un mistero anche come ci si possa sviluppare dando supporto all'agricoltura di sussistenza. Per poter finanziare un sistema di supporto sociale efficace c'è bisogno di soldi, quindi di entrate fiscali e di crescita economica. Le entrate fiscali si ottengono solo con imprese regolarizzate (non in nero, cioè), possibilmente poche e grandi. Industrie grandi, oltre a ridurre i costi della raccolta delle entrate fiscali, godono vantaggi notevoli in termine di economie di scala: investono di più, ricercano di più, creano più (plus)valore. Non è forse un caso che la povertà si riduce più in fretta dove aumenta il lavoro dipendente (e non autonomo).

Dove vogliamo andare, invece, con una miriade di piccoli agricoltori che a fatica risparmiano i soldi per mandare figli a scuola?

giovedì 18 ottobre 2007

Di come l'Europa ha sottosviluppato l'Africa

C'è chi crede che la causa della fame e dell'indigenza capillarmente diffuse in questo continente è da indicare solamente nel colonialismo occidentale. Beh, ha ragione. Il resto sono chiacchiere e razzismo.

Nel 1972 Walter Rodney, uno storico della Guyana, pubblicò un libro intitolato "Come l'Europa ha sottosviluppato l'Africa". L'obiettivo era di demolire il mito che l'Africa fosse un continente di bingobongo fino all'arrivo dell'uomo bianco. L'argomento di Rodney è sviluppato, a grandi linee, come segue: nell'Africa precoloniale esistevano culture con un notevole (anche se non a livelli occidentali) sviluppo culturale, tecnologico e politico. Esistevano, infatti, comunità politiche estese, stati ed imperi. L'arrivo degli Europei, attraverso il traffico degli schiavi, demolì queste unità politiche e azzerò lo sviluppo culturale e sociale africano.

35 anni dopo un economista americano, Nathan Nunn, dimostra la tesi di Rodney (probabilmente inconsapevolmente) a forza di regressioni. La sua ricerca ha evidenziato una robusta correlazione negativa tra il numero di schiavi esportati e l'attuale performance economica. Il bello del paper di Nunn è che si sforza di spiegare questa correlazione. La tratta degli schiavi non è stata semplicemente un furto di capitale umano. Attraverso lo scambio armi per schiavi è stato sbriciolato il monopolio della forza che detenevano gli stati africani precoloniali. Improvvisamente tutti quelli che erano disponibili a rapire e vendere uomini si trovavano a disposizione un potenziale di fuoco senza precedenti nel continente. Gli stati africani vennero polverizzati, incapaci di fornire quei beni pubblici necessari allo sviluppo economico.

Poi venne la conquista coloniale, e l'asservimento dell'economia africana alle esigenze delle potenze occidentali. Ma questa è un'altra storia, chiamata, con una certa ironia, teoria dei vantaggi comparati. Questa storia ha una morale importante anche per le politiche dello sviluppo contemporanee. Il problema del monopolio della violenza si è aggravato negli ultimi decenni.

Ora non si vendono più schiavi (?), ma diamanti e il kalashnikov costa quanto una gallina. Per organizzare una ribellione bastano un telefono satellitare ed un pugno di dollari. E, infatti, metà del continente è fatta di stati falliti, sistemi anarchici e violenza a gogò. Il rischio è alto, i rendimenti bassi, gli investimenti a breve termine.

Come sia possibile pensare di rilanciare lo sviluppo economico e sociale di un continente se non si riesce a creare prima ordine politico, per me rimane un mistero.

mercoledì 17 ottobre 2007

Nobel per caso

Il premio Nobel James Watson (quello del DNA) ha recentemente dichiarato che i neri sono geneticamente più stupidi dei bianchi, e che quindi ci sono poche speranze per lo sviluppo dell'Africa.

Il Nobel per l'economia è invece andato a tre distinti signori chiamati Hurwicz, Maskin e Myerson, per una cosa che all'apparenza non ha nulla a che fare con il creazionismo, quanto con e-bay. Comunque ne pensiate, il Nobel per l'economia non è veramente un premio Nobel, ma il Premio in Scienze Economiche in memoria di Alfred Nobel, che è stato creato nel 1968 dalla Banca di Svezia e che non venne assegnato ad un economista, ma ad un matematico.

lunedì 15 ottobre 2007

Le quattro sfide per il pd

Le primarie sono state il primo passo del partito democratico. La strada è ancora lunga. Quattro sono i grandi ostacoli che bisogna affrontare per diventare un partito reale e vincente.

1. Veltroni. E' un maestro di comunicazione politica, e si vede. Dubbia è invece la sua capacità di guidare un'organizzazione complessa come quella di un partito un partito poi tutto da inventare. Saranno decisivi gli uomini e le donne che andranno a formare la segreteria di Veltroni.

2. Gli interessi organizzati. Il partito democratico ha una vocazione da "pigliatutto". Si rivolge, cioè, a tutti gli elettori, indipendentemente dalla loro classe sociale o credo religioso. Contemporaneamente ha le potenzialità per rendersi indipendente da lobby più o meno organizzate e dettare le politiche di cui l'Italia ha bisogno. Vocazione e potenzialità rischiano di essere in contraddizione, premiando il consenso a scapito dell'efficacia delle politiche o, viceversa, sposando politiche senza consenso. La via è stretta tra Scilla e Cariddi.

3. La forma partito.
Il partito democratico avrebbe dovuto essere un partito innovativo anche nelle sue forme, la cui progettazione è stata lasciata ad un giovane professore di Bologna, Salvatore Vassallo. L'impressione è che, invece di prospettare un partito nuovo, il professore ci stia guidando verso un partito americano, non solo nel nome. Far scegliere ai "simpatizzanti" un leader politico è roba, letteralmente, un'americanata. E' urgente che i nuovi quadri, a livello locale e nazionale, si riapproprino del partito e impediscano che si trasformi in un comitato elettorale. A tutti noi il compito di rivitalizzare le sezioni.

4. Le federazioni locali. Il partito democratico è stato pensato come federale. E, infatti, l'elezione delle assemblee locali è molto più importante di quella nazionale. Nella mia federazione la competizione elettorale è stata vera, altro che parata con vincitore annunciato! Ora vanno a formare un partito solo gente che si guarda(va) in cagnesco. E' la diffidenza di chi non si conosce bene, di chi è abituato a considerarsi in competizione, di chi è "laicista" e di chi è "clericale". La sfida ora è fare amicizia, costruire stima e fiducia e mettere le basi per un sano dialogo interno. Intanto Tommasini è diventato segretario. Qui gli si fa i migliori auguri.

venerdì 12 ottobre 2007

Al Gore: un Nobel dato a caso?

Al Gore è solo l'ultimo dei premi nobel dati a casaccio? Il nobel per la pace è stato trasformato in un generico premio ai buoni sentimenti? Cosa c'entra la pur nobile battaglia per l'ambiente con la pace nel mondo?

1. Secondo la volontà di Alfred Nobel, avrebbero dovuto essere premiati colore che
hanno fatto il lavoro maggiore o migliore per la fraternità tra le nazioni, l'abolizione o la riduzione degli eserciti permanenti e la promozione e organizzazione di congressi per la pace.
Scorrendo la lista dei premiati pare che questa volontà sia stata spesso tradita. Il premio ad Al Gore rappresenta, forse, il punto massimo di questo allontanamento dai propositi iniziali. Sono stati premiati ambientalisti, come Gore e la Maathai; operatori economici come Yunus, l'ILO e Madre Teresa; diversi attivisti per i diritti umani (Shirin Ebadi, Rigoberta Menchù, Aung San Suu Kyi, il Dalai Lama, Eli Wiesel, Lech Walesa fino ad Amnesty International).

Se le cause sposate da tutti questi premi nobel sono più che meritorie, il legame con la promozione della pace sfugge. Anzi! la promozione dei diritti umani è sempre un fattore di conflitto, altro che pace. Tra le motivazioni che portarono il comitato a
non premiare Ghandi c'era appunto la coscienza che la sua campagna per l'indipendenza dell'India, seppure non-violenta, ha avuto anche conseguenze tragiche. Altrettante perplessità andrebbero sollevate riguardo a chi lotta contro le povertà. Alcuni studi, per esempio, hanno messo in evidenza le conseguenze in termini di violenza privata dei programmi di microcredito.

Insomma un premio dato a caso? Tanto valeva darlo a Grande Puffo?

2. Forse no. Il comitato di Oslo ha, verosimilmente, fatto propria un'idea estensiva di pace. Agli inizi degli anni sessanta, proprio ad Oslo, Johan Galtung sviluppava il concetto di pace positiva, una pace cioè non come una semplice assenza di conflitto armato, ma come assenza di violenza in ogni sua forma, fisica e strutturale.

La violenza strutturale è la chiave per comprendere la logica nascosta dietro l'assegnazione del premio. Galtung si chiede infatti: se è violenza uccidere direttamente qualcuno, non lo è altrettanto privare qualcuno dei suoi mezzi di sussistenza o non agire per impedire che qualcuno muoia? Ecco perchè la lotta alla povertà e la conservazione dell'ambiente vengono intese come campagne contro forme strutturali di violenza e, quindi, per la promozione della pace positiva.

3. Un secondo supporto teorico a favore dei premi nobel ad ambientalisti è la teoria delle "guerre verdi", sviluppata da Homer-Dixon. Secondo Homer-Dixon, molti conflitti sono causati dalla lotta per accaparrarsi risorse scarse, o divenute tali in seguito all'inaridimento della terra. Il problema di questa ipotesi è che ignora il ruolo dell'uomo nello gestire situazioni di scarsità alimentare o nel generarle. Un altro premio nobel, per l'economia stavolta, Amartya Sen deve molto della sua fama proprio per aver dimostrato come la carestie siano generate dall'uomo, attraverso la manipolazione di strumenti economici e politici, più che da una natura maligna.

4. Le teorie di Galtung e Homer-Dixon sono discutibili sotto diversi aspetti, nulla impedisce, però, al comitato che assegna il premio nobel di farle proprie. E' un peccato, invece, che non si sia mai deciso di rendere questa presa di posizione esplicita attraverso uno o più premi a chi ha contribuito attraverso i propri studi ad ampliare il concetto di pace che il comitato (e molti di noi) hanno.
I nobel per la pace sono infatti stati assegnati esclusivamente a "uomini del fare", attivisti, politici, gente in prima linea. Sono stati sempre trascurati teorici, alcuni fondamentali, della pace. Oltre al già nominato Galtung, possiamo citare Hans Lederach, che ha sviluppato il concetto di trasformazione dei conflitti, o i teorici delle war economies, tipo Keen e/o Hirschleifer. La prossima volta perchè non lo diamo a uno di loro?

Si mangia: il Loop da Chingford ad Harold Wood

Il caricabatterie nuovo per il cellulare non l'ho ancora comprato. Quindi anche oggi niente foto mie. Purtroppo perfino google è molto parco di foto. Ce ne sono due per tutta la tappa, e pure bruttine: eccole: la casa di caccia della regina Elisabetta e il lago artificiale della valle del Roding (da una buca creata scavando la terra necessaria alla costruzione dell'autostrada). Poco male, perchè la tappa che va da Chingford ad Harold Wood è tutta da gustare con le papille. Andiamo con ordine.

Primo: Pasta, naturalmente. Il grano è maturo ed è una gioia da accarezzare, con una mano passeggiando lungo i campi, che vanno da Chighwell fino alla foresta di Hinault, ma anche dopo Havering-atte-Bower. Da condire con l'ortica che è giovane e morbida, possibilmente soffritta con un po' di aglio selvatico, chè si trovano ai margini dei boschi.

Secondo: Coniglio! nel mio anno africano ho imparato pure ad ucciderlo e scuoiarlo, peccato che mi sia perso l'importante, cioè come catturarlo. I conigli e le lepri londinesi se la scampano, per ora. Le foreste e i prati ne sono però invasi: Epping, Hinault, Havering: un saettare di pellame saltellante. Fosse per me almeno un paio finirebbero al forno, con carote e patate.

Dessert: Se le portate principali sono rimaste nella mia fantasia (sebbene fossero lì, a portata di mano: ma io non sono nè cacciatore nè cuoco), la frutta basta veramente solo raccoglierla. E ad agosto (eh sì, il loop lo racconto in differita) ci si potrebbe fare una macedonia di more, che si arrampicano sui recinti di filo spinato, e di mele. Discendendo la collina della foresta di Hinault si incappa in un vero e proprio meleto. I frutti erano ancora un po' acerbi, ma una l'ho addentata comunque, troppo ghiotta l'occasione.
Bere: Visto che si parla di mele, perchè non accompagnare il tutto con una bella pinta di sidro? la birra inglese non si beve quasi, il sidro invece... on the rocks, please!

lunedì 8 ottobre 2007

Chi vincerà il Nobel per la Pace?

E' tempo di premi nobel. Hanno già assegnato quello per la medicina. E già si fanno scommesse su quello dell'economia (e pare pure che il favorito sia uno di cui ho perfino già letto qualcosa).

Su questo blog, però, si discute solo di cose importanti: chi dovrebbe vincere il nobel per la pace?
I monaci birmani sarebbero gli ovvi favoriti, se non fosse che la rivoluzione saffron è arrivata probabilmente con un po' di ritardo rispetto alle procedure di selezione e nomina dell'accademia svedese.

Se proprio non ce la fanno i monaci, la mia favorita è lei. Ma si accettano anche altri suggerimenti.

domenica 7 ottobre 2007

Rugby, curry e fosters: 18-20

Al lavoro Lesley aveva deciso che si guardava il campionato di snooker. E io avevo ben altro da fare che implorare un veloce cambio di canale. L'appuntamento è, però, fissato alle otto a casa: Shalini prepara il curry e si guarda la partita. Di rugby.

A casa ci sono Darko, un serbo che ha studiato in Australia, e Shalini, una ragazza delle Fiji di passaporto australiano, con mamma e papà al seguito. E non l'hanno presa bene: l'Australia è stata clamorosamente sbattuta fuori da un'Inghilterra testarda e combattiva. Io sghignazzo di sorpresa che una cosa così non me l'aspettavo e che manco a farlo apposta ho una maglietta di San Giorgio addosso.

Tra curry, chapati e bombay-mix ci accomodiamo in salotto. Io faccio il tifo per gli All Blacks, perchè sono quelli che giocano il rugby più bello e non sia mai che i francesi passino dove noi ci siamo frantumati. Ma in casa sono il solo, tutti gli altri tifano les bleues. Nessuna solidarietà continentale. Anzi, urla di gioia e grida di entusiasmo ad ogni meta francese. All'ultima poi viene quasi giù il pavimento.

Non sia mai che loro vadano avanti quando noi dobbiamo tornare a casa. Allez les bleues. Sono troppo tesa, meglio che vado in cucina (siamo all'ultimo attacco neozelandese). Sms di scherno agli amici della comunità kiwi londinese (dolce è la vendetta dopo i messaggini crudeli ricevuti nel pomeriggio). Oggi ero triste, ma ora che i kiwi hanno perso mi sento molto meglio. Ahh che giornata! Il peggiore risultato mondiale degli all blacks... ever!
Mentre in salotto si fa festa, in televisione il commentatore (inglese) ha un sorriso che va da orecchio ad orecchio, il pelato opinionista francese se la tira, quello neozelandese è palesemente in lacrime, non riesce a parlare e si vede lontano un miglio che vorrebbe andare a rinchiudersi in bagno.

Io, invece, mi consolo all'idea del calcetto di Jonny Wilkinson che condannerà i bleues in semifinale.

venerdì 5 ottobre 2007

PD: si vota in rete!

Ormai mi ero rassegnato a seguire la nascita del Partito Democratico da spettatore. Vivo all'estero, e se qui, a differenza di Muenchen, c'è una qualche sezione di partito (democratico) è introvabile (almeno in rete). E invece oggi mi arriva una mail dal Compagno Golaprofonda, che mi scrive, papale papale:
puoi votare online
vai sul sito dell'ulivo e registrati
fallo
ciao
Allora io vado sul sito ulivo.it e con un po' di fatica trovo la pagina con le istruzioni. Le seguo passo passo e dopo pochi istanti voilà: mi arriva un sms da PD con il mio codice personale, che mi sarà indispensabile per votare il 14 ottobre. Insomma, non solo partecipe, ma pure protagonista di un futuristico esperimento di democrazia online. Mica male.

Naturalmente per tutto questo luccichio tecnologico c'è un terribile contrappasso. Nella circoscrizione Estero-Europa ci stanno solo tre liste, tra cui clamorosamente manca quella della Bindi, che però trovate, se volete, in Africa. E ora mi tocca pure votare Veltroni (democratici nel mondo o l'altra italia? e quante preferenze ho? ma soprattutto chi sono i candidati? insomma mi fate un corso veloce, tipo primarie per dummies, visto che devo recuperare mesi di disinteresse procedurale?)

lunedì 1 ottobre 2007

Chi spara sulla finanziaria (si spara sui piedi)

La critica al governo Prodi è un genere letterario molto in voga, specialmente nei periodi di finanziaria. La struttura del testo è, in estrema sintesi, questa:

1. Le misure della finanziaria sono buone (in sè condivisibili, ragionevoli, nessuno si può lamentare, etc.).

2. La finanziaria però non è buona (non è coesa, unitaria, profonda, pesante, i conti pubblici non vengono ridotti abbastanza, etc.).

3. La colpa è del sistema politico (la maggioranza labile, il potere delle lobbies, la sinistra radicale, lamberto dini, etc.).

L'autore, a questo punto, soddisfatto di aver fatto mostra di cotanto prudente, pacato, esperto cerchiobottismo chiude il discorso. Lo chiude, in realtà, dopo aver affermato l'ovvio, e cioè che la finanziaria è perfettibile ed è condizionata dal sistema politico in cui è stata ideata, e proprio sul più bello (piccoli capolavori li trovate da peppo e skeight, grandi capolavori da monti e boerigaribaldi). Noi altri, che non abbiamo avuto la fortuna di studiare alla bocconi, importa sapere, infatti, come si esce da questa situazione. I maestri del genere, nostro malgrado, hanno però un certo gusto per i finali aperti e non ci degnano di una risposta. La lasciano piuttosto ai 'fanculo di grillo.

Il bello è che quello che ha provato non solo a dare una risposta, ma anche a metterla in pratica è stato lo stesso Prodi. Il Partito Democratico è il solo tentativo, democratico e ragionato, al problema politico italiano: lo si è chiamato il timone riformista, e si intende un partito solido in grado di aggregare un consenso sufficiente non dover far dipendere le sorti del paese del primo turigliatto/dini di turno, e che non sia succube della cei/sindacati/tassisti/confindustria. E' un tentativo ad alto rischio, ma se fallisce è un guaio per tutti, visto che non ci sono alternative conosciute per uscire da questo pantano. Ed è proprio per questo che non si capiscono gli sberleffi della sinistrasinistra, che dall'alto della loro polverizzazione partitica, fanno il tifo per un rapido ritorno alla squallida normalità italiana.